Goli Otok

Goli Otok

 

Goli Otok significa in croato “Isola nuda” ed è stato un carcere fino al 1988. Il viaggio fotografico di Fiorella Iacono si svolge dentro un luogo ormai sfigurato dal tempo e documenta il rapporto di sopravvivenza traumatica e reciproca che intercorre tra la memoria e le rovine: capannoni distrutti, edifici dismessi, interni devastati. Ogni scatto coincide però con l’istante di un’esperienza vissuta al tempo presente e attiva un cortocircuito pienamente artistico tra la geometria buia di grate o spigoli; e l’esplodere della luce, che a sua volta gioca con l’assoluto di un Azzurro di pura matrice simbolista. Oscillando dal polo documentario di una terribile esperienza di contenzione (tanto più straniante perché il suo contenitore è una magnifica isola del “tranquillo” mare Adriatico) a quello tutto conoscitivo di una spazialità severamente segnata dal trascorrere implacabile di un tempo disumanizzato, la ricerca di Fiorella Iacono si tende a ricostruire e assieme a restituire lo sguardo di chi era costretto a vivere e a soffrire dietro quei muri circoscritti, di là da quelle porte che rimandano a soglie infernali. Il punto di vista dell’artista-fotografa si muove così tra la prospettiva ampia, spesso volumetrica, degli edifici calati nell’idillico – ma mai rassicurante – paesaggio insulare; e la minuzia di dettagli che allo sguardo passeggero del visitatore sembrerebbero minori o poco significativi e che invece, grazie alla calibratissima costruzione di ogni fotogramma, danno conto della pietà e della crudezza insite nella vita carceraria: una porta, un muro con alcune scritte, i graffiti di un tempo perduto, due finestre vicine, ferrose e attraversate dalla luce cangiante del mare. L’intenzione dominante di chi ha abitato nei decenni l’”isola nuda” è stata quella di fuggire, godendo il blu profondissimo del mare come possibile via di scampo. Nessuno c’è mai riuscito: molti morirono e i loro nomi sono stati rimossi, cancellati. Sono rimasti gli oggetti, gli spazi, le ferite di cui Fiorella Iacono ci dà conto in questo suo intensissimo percorso, vòlto prima di tutto a testimoniare lo sguardo di quei prigionieri (riunito all’empatia del nostro che vuole ricordare) protesi a varcare quel perimetro di morte.

Alberto Bertoni